giovedì 20 gennaio 2011

3.1. 8 giugno 1989 - THE CURE - 2° parte

Eravamo dentro, eravamo di fronte al palco ed eravamo assieme.

Si era unito a noi un tizio il cui nome si è perso nella memoria (ma Barbara potrebbe colmare questa lacuna) che avevamo conosciuto nell'attesa di entrare.

Tra il pubblico avvistammo nientepopodimenoche i Depeche Mode, che in quelle settimane erano impegnati a Milano nelle registrazioni di 'Violator'. Parliamone.
Si era tranquillamente seduti a cercare di capire come ovviare all'impossibilità di accedere ad un cesso per 15 ore consecutive quando, come d'abitudine (lo scoprii in quell'occasione) un movimento improvviso di qualcuno sulla sinistra della transenna diede il via ad uno tzunami umano. Con uno scatto felino io e Barbara superammo chi ci si parava davanti e ci arpionammo alla transenna, le altre due poco dietro di noi.
Tra tanti casini avevamo la prima certezza della giornata: di lì non ci saremmo staccati. Questo valeva solo per me e Barbara però, che solidamente ancorati, ostacolavamo con gomiti tra le costole e una postura inamovibile tipo Sfinge, qualunque tipo di tentativo di inserirsi tra gli eletti del 'front-stage'. La prima fila è così: non si guarda in faccia a nessuno. Non esiste pietà, che tu sia basso o svenevole, gracile o asmatico. La prima fila non si cede, mai. Se stai male, fatti tirare fuori. Se sei basso, vatti a sedere sugli spalti; e la prossima volta, corri più veloci.

Così, stretti stretti, ci godemmo una lunga attesa, passata ascoltando inizialmente musica country (lo giuro: al concerto dei Cure, prima dell'inizio dei supporters, la musica in diffusione era COUNTRY) e a seguire i gruppi di spalla: ad aprire la parte live furono gli Shelleyan Orphan, band sconosciuta ai tempi, figuriamoci oggi. Malsopportammo il set in attesa del secondo supporter, che era il ben più famoso e apprezzato Marc Almond.

Nel frattempo la Gabri aveva gettato la spugna, abbandonandoci per andare sugli spalti.
Rimasti in tre, godemmo dello spettacolo fornito dall'ex voce dei Soft Cell (riunitisi poi parecchi anni dopo), nonostante la calca diventasse sempre più opprimente.
Niente però al cospetto di quello che ci attendeva con Robert Smith, Simon Gallup e gli altri sul palco. Con il sole che illuminava ancora l'Arena, entrarono sul palco pieno di fumo e attaccarono 'Plaisong', la prima traccia di 'Disintegration': ricordo perfettamente l'emozione di essere lì con le persone che più amavo al mondo; di fronte a noi Simon Gallup, coperto da un cappello a tesa larga, ci dava da subito prova della postura che da anni adoravamo: gambe divaricate, basso suonato ad altezza polpacci. Sulla sua sinistra Robert Smith, perfettamente iconografico nei sui capelli laccati, cerone, ombretto e rossetto sbavato vagava perso in quei pochi metri quadrati. Sul palco sembrava una bambola, quasi sempre immobile. Pochissimi sguardi rivolti al pubblico. Ma la sua voce e la sua chitarra … erano un connubio indescrivibile.
Sentire finalmente le canzoni che conoscevo, reinterpretate in concerto, fu una folgorazione.


Dopo forse 3 canzoni anche Sara diede forfait e ci abbandonò. Restavano solo io e Barbara, stoici, sofferenti ma inamovibili.
Alla fine la sofferenza era quasi pari alla gioia dello spettacolo a cui stavo assistendo: ore e ore sotto il sole, la ressa e il pogo che a due passi dietro me non faceva che spingermi contro la transenna ad ondate regolari, mi portarono al limite della sopportazione.
Durante i bis, a causa dei dolori al costato dovuti alla pressione contro il metallo della barriera, mi dovetti girare di lato, col risultato di ritrovarmi pugni e gomiti della gente intorno a me, saldamente infilati nello stomaco e nella schiena. Qualcosa di molto vicino ad un incubo.
Il finale lo ricordo interminabile, non ce la facevo davvero più a resistere. La canzone che chiuse la scaletta fu 'Faith', che per come stavo, mi parve durare delle ore. Probabilmente si trattò 'solo' di ¼ d'ora...

E poi tutto finì, lentamente la calca si diradò e ci ritrovammo noi 4 riuniti di fronte al palco, felici ma soprattutto distrutti, incapaci in quel momento di cogliere fino in fondo la portata dell'evento a cui avevamo assistito.
Per molti aspetti quel concerto fu la 'nostra Woodstock': ripensando alle centinaia di live a cui ho assistito sino ad oggi, non posso non prendere atto del fatto che quel concerto rimane il più debilitante, distruttivo e faticoso di sempre. Ma al quale va aggiunta quella speciale sensazione di unione e condivisione totale: non era solo 'divertimento', era essere nel luogo giusto, nel momento giusto, con persone che più 'giuste' non potevano essere.
Il dolore non contava più nulla.


Visto con: Barbara (Sara/Gabri)
Scaletta: plainsong /pictures of you / closedown /kyoto song / a night like this/ just like heaven / last dance /fascination street / cold / charlotte sometimes /the walk / a forest / inbetween days /the same deep water as you / prayers for rain / disintegration / lullaby / close to me / let's go to bed / why can't i be you /three imaginary boys / boys don't cry / faith

1 commento:

  1. Ricordi sparsi:
    - Marc Almond che canta tra gli insulti le canzoni di un disco bellissimo come "Stars we are"
    - Simon Gallup con camicione bianco lungo, pantaloni di pelle e stivali con gambali (molto sexy) che si spellava le dita suonando il basso ad altezza polpaccio, preciso ed inesorabile come un treno
    - "Fascination Street" suonata con una violenza impressionante
    - Le transenne che non sentivo neanche più, mi sarei fatta trapiantare un polmone perforato piuttosto che mollare la postazione
    - La versione incredibilmente dilatata di Faith(anche più di un quarto d'ora), che mi accompagno' per tutti i mesi successivi come un mantra ossessivo nelle orecchie
    - la malinconia feroce dei giorni successivi: ricordo che trascorsi circa tre giorni buttata sul divano, con le tapparelle abbassate, a sospirare ascoltanto e riascoltando "Disintegration", riempiendo pagine e pagine di diario, desiderando delle fughe impossibili ed un altro concerto, stavolta lungo tre giorni!

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